“Sul Sentiero dei Fiori passeggiando nel vuoto” Articolo tratto dal Giornale di Brescia

“Sul Sentiero dei Fiori passeggiando nel vuoto” Articolo tratto dal Giornale di Brescia

Adesso possiamo finalmente tornare a parlare della storia dell’Adamello». Non ha dubbi Andrea Faustinelli, guida alpina di Ponte di Legno, rifugista del Garibaldi e fondatore dell’associazione «Amici della Capanna di Lagoscuro», quando illustra con malcelato – quanto giustificato – orgoglio nella voce i lavori di ripristino delle spettacolari passerelle del celebre Sentiero dei fiori, a 2.997 metri di quota, sopra il Passo Paradiso, in Alta Valcamonica.
È orgoglioso, si diceva, e gli occhi gli si mettono pure a brillare poiché è riuscito a coronare quello che era il sogno di una vita, per lui che ha raccolto il testimone del compianto Giovanni Faustinelli, per decenni prezioso custode (e salvatore) del bivacco (la Capanna di Lagoscuro, appunto) che ha fatto la storia di queste vette, rifugio dei soldati che occupavano le montagne durante il Primo conflitto mondiale, quella che è nota come la Guerra bianca, combattuto contro gli austriaci lungo la linea del Ghiacciaio di Nessuno.
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«Sono anni che avevamo in programma il ripristino di queste due passerelle, abbandonate a se stesse e poi distrutte negli anni Cinquanta – spiega Faustinelli -. La nostra grande forza di volontà, unita alla disponibilità del Comune di Ponte di Legno e della Comunità montana, ha dato vita a questo piccolo, e allo stesso tempo unico nel suo genere, miracolo». Un miracolo importante, che è stato raccontato in anteprima qualche settimana fa durante il telegiornale di Raiuno e pure con due pagine sul Corriere della Sera, un’opera che verrà inaugurata la prossima estate e che attende il collaudo strutturale proprio in questi giorni. «Ma il miglior collaudo – aggiunge Faustinelli- sarà l’inverno alle porte, con la neve che coprirà le passerelle, sessant’anni dopo la loro rimozione ad opera dell’incuria dell’uomo».
Con la «memoria storica» dalignese ci sono anche il carpentiere d’alta quota Dario Melotti, vezzese d’adozione ed esperta guida alpina, e pure l’ingegner Gianluigi Riva di Vione. Sono rispettivamente il braccio operativo e la mente del «collegamento aereo» che sfida la forza di gravità, il vento, il gelo ed il bel granito su cui sono fissate le funi che sorreggono i camminamenti, settanta metri a strapiombo su canaloni di roccia che fanno venire le vertigini anche a chi è abituato a sfidare le asprezze della montagna.
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Durante la Grande guerra, le passerelle militari del Sentiero dei fiori (qui d’estate è uno spettacolo osservare le distese di piante rupicole) erano l’unico mezzo per collegare velocemente il Passo Lagoscuro con quello del Gendarme e poi il Castellaccio, evitando un saliscendi pericoloso, possibile solo a chi possedeva l’abilità (ed il tempo) di scalare la roccia senza paura. Poi, nel 1918, a guerra ormai in procinto di finire, l’intuizione degli alpini di bucare la roccia per settanta metri, creando una galleria artificiale e consentendo anche un riparo che rimediasse il clima rigido di una montagna difficile da abitare.
Oggi la galleria, con torcia alla mano, è transitabile, ma il ripristino delle «passerelle militari» contribuisce a recuperare un po’ di memoria, un salto indietro nel passato, in luoghi dove la storia ha lasciato segni indelebili.
«Ci sono voluti cinquanta giorni di lavoro quest’estate – racconta Dario Melotti, viso rosso bruciato dal sole dell’alta montagna e grandi mani ruvide da navigato carpentiere -, con una squadra di quattro operai che hanno prestato servizio a turno. È stata un’esperienza dura, difficili le condizioni di vita lassù, ma abbiamo goduto emozioni infinite quanto a panorama e pace con la natura». Un’opera pianificata nel dettaglio, che non ha lasciato spazio all’improvvisazione, «un cantiere perfetto» per dirla con le parole dell’ingegner Riva, che più volte è salito in quota per dirigere i lavori e che non smette mai di lodare il rocciatore-acrobata Melotti, titolare di una ditta specializzata in bonifiche montane, perforazioni ed utilizzo delle funi. Le bistecche arrivano in volo. E poi c’è stato l’ausilio determinante dell’elicottero per portare a 3mila metri il materiale edilizio ed i rifornimenti per i carpentieri. «Non so quante bistecche avremo mangiato a luglio ed agosto – scherza Melotti -, avevamo sempre fame e le proteine della carne ci sono state oltremodo indispensabili». «È il più alto ponte tibetano d’Italia – continua il progettista Gianluigi Riva -, per il mio studio associato è stata difficoltosa soprattutto la fase di indagine preliminare, ma anche il rilievo strumentale in quota, la scelta del posizionamento e quindi la costruzione degli ancoraggi nella roccia, le modalità di tiro delle funi portanti ed infine il posizionamento dei gradini di calpestio, effettuato uno ad uno dai carpentieri». Il risultato finale parla di due camminamenti di 75 e 54 metri di lunghezza, il più alto con uno strapiombo di 73 metri, sei funi portanti ciascuno, due a sostenere l’impalcato, due il corrimano all’altezza della vita ed altre due mezzo metro sopra l’altezza media umana, affinché l’escursionista in ferrata possa alzare le braccia e – con il moschettone innestato tra l’imbragatura e la fune – camminare in tutta sicurezza. I sei fori effettuati nel granito per ogni estremità della passerella hanno un diametro di dieci centimetri, i buchi sono profondi (e poi cementati), l’impalcatura è metallica, ventidue sono i centimetri di vuoto tra un gradino e l’altro, 50 i centimetri di larghezza, 5 i minuti necessari per «guadare il cielo» e ben 400 kg per metro quadrato la portata massima della struttura («forte e sicura come un ponte», tiene ancora a precisare l’ingegner Riva).
Duecentomila euro è il costo complessivo dell’operazione, metà a carico della Regione (tramite il Fondo per la montagna del 2008), metà tra Comune, Comunità montana e l’associazione «Amici della Capanna di Lagoscuro». Non è finita qui. Faustinelli, Melotti e Riva contano infatti di poter dare alla luce anche un altro più ambizioso progetto in un futuro non troppo lontano, ovvero la «Machu Picchu» di Lagoscuro, cioè il ripristino del villaggio militare (con le fortificazioni, gli accampamenti mobili ed anche una chiesetta) dove i soldati vissero tra il ’15 e il ’18. Un’opera altrettanto importante, che vede impegnato anche il Museo della Guerra Bianca di Temù, diretto da Walter Belotti. Un altro pezzo di storia doverosamente da ricostruire.
Tutto nasce da un’idea. Da un sogno cullato a lungo. Poi ci sono gli amici, compagni delle passioni di sempre, che aiutano a mettere in fila e a ordinare un poco i pensieri. E poi arriva un finanziamento, che sembra fatto apposta per realizzare quel desiderio neanche tanto nascosto. Fino a qualche mese fa, delle due passerelle militari che aggirano il Gendarme di Casamadre, alternative alla galleria, esistevano solo delle foto in bianco e nero, scattate durante la Prima guerra mondiale, e i racconti dei «veci» alpini che avevano combattuto la Grande Guerra a 3mila metri di quota. L’estate scorsa, gli «Amici di Capanna Lagoscuro» le hanno ricostruite, più salde di un tempo, ma non meno suggestive. È come se avessero riportato in superficie un pezzo di storia dei nostri alpini, che lassù difendevano la patria dagli Austriaci. Ma è questo anche un modo per far tornare la gente in montagna: il Sentiero dei fiori, all’interno del quale primeggiano i due manufatti, oltre che molto sicuro (è l’unico attrezzato del gruppo dell’Adamello), è davvero spettacolare in termini di flora e paesaggi. Con quei ponti ripristinati, il sentiero diventa anche una piacevole variante per raggiungere l’Adamello, con un avvicinamento tutt’altro che monotono. E poi le passerelle rallentano il ritmo, spingono la gente a guardarsi intorno e ammirare la bellezza della montagna. C’è pure un regalo inaspettato: da lassù si riesce a vedere la parete dietro di Casamadre, la più selvaggia, quella rossa che fino a oggi nessuno aveva mai sbirciato. Il Sentiero dei fiori attacca a passo Paradiso, a 2.590 metri; si raggiunge a piedi o con la cabinovia dal Tonale. Si deve seguire il segnavia Cai 44 che sale al passo di Castellaccio: qui origina la via attrezzata che passa per la galleria del Gendarme e le passerelle, traghettando verso la cima Lagoscuro, con sosta alla Capanna per un caffè. Da qui la scelta è multipla: si può scendere al passo di Lagoscuro, proseguire fino a cima Payer o aggirare la cima, chiudendo il giro ad anello. Le passerelle saranno inaugurate la prossima estate, forse per il Pellegrinaggio in Adamello. Quell’«insostenibile» vertigine e una vista da mozzare il fiato. Davanti, in primo piano, il ghiacciaio del Pisgana. Poi il Bernina e, se la giornata è limpida, riesci a vedere anche il Cervino e il Monte Rosa. L’uomo ha paura, se i piedi non sono ben saldi a terra, se non ha «muri di riferimento», il vuoto sopra e sotto fa girar la testa e tremare le gambe. Appoggi su una passerella che un po’ traballa, le braccia sono alzate per stringere nelle mani le funi più alte, col moschettone da ferrata inserito, che dice al tuo cervello: «tranquillo, ti tengo fisso». Nonostante tutte queste (in)certezze, tieni gli occhi sbarrati, cercando d’arraffare il più possibile, per scolpire nella memoria quel paesaggio che pochi hanno la fortuna d’osservare dal vero. «Se solo avessi il coraggio di schiodare una mano – pensi – potrei prendere la macchina fotografica». Ma hai fifa e i click li scatti in testa. «Il vento a quest’altitudine è forte, se viene una raffica, e se non tiene?» meglio scacciare il pensiero. La frase «io lì non ci salirò mai» è alle spalle da almeno venti metri. Davanti ce ne sono ancora cinquanta, anche se ti sembra d’aver già fatto tutto il ponte con lo stomaco che ti strizza. E mentre avanzi, pensi a due cose: come avranno fatto i soldati ottant’anni fa a percorrere quei fili sospesi – di certo molto meno saldi di oggi – e poi, soprattutto, pensi che vuoi dire grazie alla guida alpina che ti ha portato fin lassù. Un passetto, la mano che struscia sulla fune, un altro passetto. Siamo di là, con scarica di adrenalina. Per fortuna che è stata realizzata una piazzola di sosta – ci potranno stare una decina di persone – dove «raccogliere» te stesso prima di proseguire: subito dopo c’è una ferratina. Le energie impiegate per attraversare la passerella del Gendarme sono tante, ma il mix emozioni adrenalina consente d’andare avanti (e poi indietro non ci torno). Frasi «rubate» dal diario di chi ha già attraversato i ponti tibetani dell’Adamello: ora deve passare l’inverno e poi i manufatti saranno accessibili a tutti. Noi pensiamo all’eccitazione di essere sospesi nell’azzurro, gli esperti sottolineano invece due aspetti: il kit da ferrata è obbligatorio e poi, se non si è pratici, meglio salire con una guida alpina, per la sicurezza e per godere maggiormente la spettacolare vista della montagna.

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